Nightbitch, la recensione: Amy Adams in un fanta-horror sulle sfide della maternità


La maternità e le difficoltà che comporta, rilette attraverso il filtro del realismo magico, sono al centro di Nightbitch, film in arrivo in Italia direttamente su Disney+: al centro della storia troviamo una donna (Amy Adams) che da un paio d'anni, con la nascita di suo figlio, ha abbandonato la sua carriera di artista e curatrice di un museo per fare la mamma a tempo pieno; giorno dopo giorno, mentre porta avanti la routine quotidiana assieme al suo bimbo, tra pasti, pulizie, la spesa al supermercato, il parco giochi, la biblioteca, quasi sempre da sola perché suo marito (Scoot McNairy, visto di recente nel remake di Speak no evil e attualmente nel biopic dylaniano A complete unknown) trascorre molti giorni lontano da casa per lavoro, la protagonista si sente sempre più frustrata e insoddisfatta della sua vita attuale. Ad un certo punto la donna comincia a notare strani cambiamenti in sé, a partire da ciuffi di peli che le crescono in punti insoliti, un'inaspettata intesa con i cani del vicinato e un nuovo appetito per la carne, e inizia a rendersi conto che dentro di lei c'è un istinto ferale che lotta per uscire e trovare libero sfogo.
Nightbitch, tratto da un omonimo romanzo del 2021 di Rachel Yoder, è scritto e diretto da Marielle Heller, già regista di biopic candidati all'Oscar come Copia originale (2018) con Melissa McCarthy e Un amico straordinario (2019) con Tom Hanks, ma anche attrice (la ricordiamo ad esempio nel ruolo della madre adottiva di Anya Taylor-Joy in La regina degli scacchi).
Non è la prima volta che vediamo sullo schermo storie in cui l'esperienza di diventare madre, dei cambiamenti fisici e mentali che comporta, nonché lo scontro con la pressione imposta dalla società, viene raffigurata in una maniera che trascende i confini del reale, in chiave di thriller psicologico oppure horror, pensiamo ad esempio a Tully (2018) con Charlize Theron o anche al più recente Baby Ruby (2023).
Nightbitch è una commedia horror che ha in sé anche le caratteristiche di una fiaba dark e allegorica, in cui i personaggi sono per certi versi anche archetipi di uno o più ruoli (a partire dal fatto che dei protagonisti non conosciamo neppure il nome, ma sono ufficialmente accreditati solo come Madre, Marito e Figlio); abbiamo già visto sullo schermo alcune figure del cinema horror utilizzate come rappresentazioni della malattia mentale, o come metafora di un cambiamento interiore che si manifesta con trasformazioni fisiche fuori dal comune. In questo caso il film ruota attorno all'idea del lato più animale che si racchiude dentro la donna, parte di quell'istinto ancestrale e viscerale che comprende la gravidanza, il parto, il legame con i propri figli, e cui si attinge per recuperare una parte di sé, quella più libera, indomita e spontanea. Nella trasformazione animale trovano sfogo la sensazione di isolamento, alienazione e sacrificio della maternità, così come dal primo impulso a giustificarsi e minimizzare si passa alla rivendicazione e al rilascio di alcune pressioni e aspettative, sottolineando anche l'importanza di un "branco", per restare in tema, vale a dire le altre mamme, in cui trovare sostegno e comprensione.
Amy Adams è l'attrice la cui fama è esplosa grazie al ruolo di una principessa delle fiabe in carne e ossa dagli occhi sgranati e il sorriso sognante perfetta incarnazione di ingenuità, dolcezza e candore; queste sue caratteristiche naturali qui vengono incanalate nella figura della mamma all'apparenza appagata e docilmente paziente, ma in cui ribolle un sottofondo di spaesamento, disperazione e rabbia: una parte che anche esteticamente è spesso piuttosto punitiva, proprio per darne un'immagine il meno patinata ed edulcorata possibile, e la sua prova è sicuramente uno degli aspetti del film che suscitano più curiosità e interesse.
In questo suo oscillare tra verosimiglianza e immaginazione, a cui la protagonista stessa cerca delle risposte in biblioteca, con una serie di letture che rimandano a nozioni mistiche e mitologiche su antiche divinità animali e femminili, la trama prova anche a tracciare un parallelo fra lei e sua madre, compresi ricordi di un'infanzia trascorsa apparentemente in una comunità religiosa, con alcune sequenze tra il flashback e l'onirico che però non hanno uno sviluppo coerente né del tutto compiuto, lasciando alcune domande in sospeso: se inizialmente possono destare curiosità, finiscono per essere tra le parti meno riuscite del film, così come la ripetuta narrazione in voice over della stessa protagonista, a tratti ridondante.
Sembra nel complesso che la storia sia indecisa se puntare di più sul suo versante fantasy e horror o su quello più realistico e introspettivo: se la prima parte getta le basi della trama stuzzicando la curiosità tra mistero e attesa, quando si arriva al punto di transizione vero e proprio la narrazione sembra piuttosto cauta, anche visivamente, per poi spostare rapidamente l'attenzione e concentrarsi infine su quella che risulta quasi un'analisi psico-sociologica dei rapporti di coppia, dei ruoli familiari, e così via; prevale insomma la spinta a un messaggio consolatorio e soddisfacente per tutti in quella che diventa una sorta di ode e un omaggio non solo alle madri ma all'istituzione familiare, mentre forse sarebbe stato più audace ed efficace, nonché veritiero, lasciare qualcosa di incerto e irrisolto, magari anche ambiguo e scomodo.
Nightbitch è dunque un film che, già dal titolo, sembra promettere un approccio tagliente e provocatorio, ma che poi si rivela una riflessione più mite e confortante, puntando comunque i riflettori su una tematica sempre attuale e dal sapore universalmente comprensibile.
