The Dead Don't Hurt, il gioiello di Viggo Mortensen alla Festa del Cinema di Roma

'The dead don't hurt' di Viggo Mortensen è un film lento e insieme poetico che parla di persone distrutte e difettose, di rabbia e disperazione, di solitudini e cambiamenti. Un piccolo gioiello.

The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set credit: courtesy of Festa del Cinema di Roma
The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set

Non è di certo un mistero né un segreto il fatto che, cinematograficamente, il western non è solo un genere fortemente codificato, ma che è soprattutto un genere maschile. Basta guardare alla storia del cinema per rendersi conto che questo genere specifico è fatto quasi sempre da uomini per uomini: racconti epici e polverosi di eroi più o meno positivi, con una propria morale, che combattono per ciò che reputano giusto, prima di allontanarsi dell'archetipo del sole morente, come a voler chiudere una ferita sanguinosa. E in questo tipo di racconto la donna non ha possibilità se non quella di essere o oggetto del desiderio (più o meno di chiunque), o costretta a subire la boria di altri uomini che giocano con la loro carne e il loro corpo. Tutti questi assunti, che - a prescindere dalle eccezioni che ci sono e che, dopotutto, ci devono essere - non trovano spazio in The dead don't hurt, il secondo lungometraggio diretto da Viggo Mortensen che, lungi dall'accontentarsi di essere "solo" l'Aragorn di Il signore degli anelli, dimostra una visione interessantissima dell'arte di fare cinema.

The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set / credit: courtesy of Festa del Cinema di Roma

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma - dove Mortensen ha anche ricevuto il Premio alla Carriera - The Dead don't hurt prende il via nella seconda metà dell'Ottocento, in quel Far West che poteva ancora rappresentare una possibilità di avere una vita migliore. La California della corsa all'oro apriva le porte agli immigrati che speravano di poter realizzare quello che la cultura contemporanea avrebbe poi chiamato American Dream. E i due protagonisti della vicenda sono proprio questo: persone ormai senza terra e senza radici che provano a costruirsi una vita in una San Francisco che odora di polvere e di terra arsa da un sole troppo caldo. Olger (Viggo Mortensen) e Vivienne (Vicky Krieps) si incontrano quasi per caso, in una giornata di mercato. Basta uno sguardo, forse, a far avvicinare i due: danese il primo, canadese la seconda, i due protagonisti sono due creature che cercano il proprio posto e il proprio lieto fine, che stanno a galla in un'esistenza che sembra determinata a buttarli giù. Ma l'amore li unisce, l'amore dà loro speranza. Ma mentre i due continuano a costruirsi la propria famiglia, per poter avere quell'appoggio sotto i piedi di cui sentono irrimediabilmente la mancanza, qualcosa si affaccia all'orizzonte, cambiando l'equilibrio delle cose. Se da una parte c'è l'amore, dall'altra non può che esserci la guerra, quell'anticamera di Thanatos, avversaria di Eros, che richiama al fronte Olger e costringe Vivienne a cavarsela da sola.

The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set / credit: courtesy of Festa del Cinema di Roma

Ed è proprio a questo punto che la regia di Viggo Mortensen decide di cambiare il passo, di prendere alla sprovvista lo spettatore, raccontandogli forse una storia che egli non si aspetta. Invece di puntare l'occhio della sua macchina da presa dove i cannoni ruggiscono e il cielo si tinge di rosso per le fiamme degli incendi e il sangue dei caduti, il regista e sceneggiatore resta fermo sulla sua protagonista. Ne segue il difficile tentativo di sopravvivere da sola, una donna senza un uomo al proprio fianco. Vivienne è una donna indomita, non abituata a piegarsi, che resiste a qualsiasi minaccia. L'innovazione di Viggo Mortensen è proprio in questa decisione: fare di Vivienne il suo "eroe" (il maschile è usato volutamente): dare al western una sfumatura nuova, dove è il personaggio femminile che rimane a combattere affinché venga fatta giustizia. Ma che giustizia può esistere in una terra abbandonata da tutti? Vivienne si troverà così ben presto alle prese con le attenzioni tutt'altro che richieste di Weston Jeffries (Solly McLeod), uomo arrogante e crudele che non accetta che qualcuno non faccia quello che lui vuole. Quello che lui esige.

The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set The Dead Don't Hurt di Viggo Mortensen - Immagine dal set / credit: courtesy of Festa del Cinema di Roma

Senza andare troppo a fondo nella trama del film e svelarne gli snodi principali, The dead don't hurt è un film lento e insieme poetico che parla di persone distrutte e difettose, che parla di rabbia e disperazione, di solitudini e cambiamenti. Un racconto di vendetta e rassegnazione, dove sembra non esserci  mai la possibilità di un vero e proprio lieto fine. Anzi. Sul film aleggia quel sentimento di disperato sconforto che si potrebbe provare nel leggere le pagine di Furore di John Steinbeck: come se tutto fosse già deciso, come se persino il sole si fosse macchiato di polvere e sangue, in una terra dove l'ingiustizia e l'arma dei potenti e la rabbia la rivoltella dei più poveri. Nonostante un ritmo molto lento e a tratti rarefatto, che di sicuro farà storcere il naso a quanto cercano nel western solo machismo e azione, l'opera di Viggo Mortensen è un piccolo gioiello all'interno della kermesse romana dedicata al cinema, dove la più grande forza è la capacità di sorridere anche quando sembra arrivare la fine. In tutti i sensi. Consigliato.